FedeRoth

I RACED THE LEGEND
Così c’era scritto sulle finisher shirt dell’anno scorso e leggenda, davvero, è considerata dai tedeschi questa gara.

Non starò a tediarvi su quanto e come sia sentito questo Iron dalla gente (si stimano 260.000 persone lungo il percorso), che ad ogni metro di gara ti incitano a continuare a non mollare, ai tavoloni lunghi metri e metri di nibelunghi di ogni età con birre e wurst dalla partenza all’arrivo che ti aspettano e urlano a tutti, dal primo all’ultimo in quella che è vissuta come una festa che ferma letteralmente tutti i paesi che attraversa.

Mi accompagnano, è la prima volta, due dei miei pupi (Elia e Rocco) e Miki, mia moglie, partecipe, non meno di me alle fatiche e agli stress della preparazione alla gara (senza avere la soddisfazione di averla fatta). Partiamo in aereo da Venezia, per Monaco e da lì proseguiamo per Roth in auto a noleggio fino a raggiungere il nostro alloggio nei dintorni di Norimberga. Cena, nanna ed il giorno dopo mi preparo all’incontro con Roth. Scopro che T1 (a Hilpolstein) e T2 (a Roth) sono a circa 10 km l’uno dall’altro, ma ciò che non avevo compreso è che il bike check in è a Hilpolstein, dove infatti mi dirigo, mentre la registrazione la fai a Roth. Torno quindi per la registrazione a Roth. Qui la prima conoscenza con “la leggenda” si fa sentire tra speaker in tedesco che pronunciano il nome di Jan Frodeno ad intervalli di 2 minuti ed una expo davvero gigante, mai abbandonata da profumi di salsiccia e birre stile sagra. Salto tutto…laggiù c’è la finish line…la guardo e mi siedo sugli spalti a pensare. Poi mi sveglio, mi alzo e scatto qualche foto che subito condivido sul gruppo wapp dei “fioi”. Quindi di corsa alla registrazione (tipo 40 secondi), ritiro zaino e materiale (20 secondi) e via, di ritorno a Hilpolstein per il bike check in. Scarico la bici, mando la Miki ed i ragazzi a fare un giro (sennò avevo gli indiani attorno tra sterzo, estensioni, ruote etc…) e, in tranquillità, mi monto il mezzo che avevo un po’  disassemblato per volare. Quindi bike check in (ancora foto, ancora condivise con i fioi SBR3ATHLON, che è come se avessi vicino…), altri 3 minuti…e sono libero, davvero aiutato da un’atmosfera che più che un Iron sembra stia aspettando la sagra del paese e non ti fa sentire per nulla la tensione della gara.

Torniamo in albergo e, dopo un carico glicemico di 2,5 hg di pasta alle 19.00, mi faccio una passeggiata e mi butto in branda, sicuro di non riuscire a dormire. Invece, magicamente, a mezzanotte circa prendo il sonno e riesco a dormire 3-4 orette. Mi sveglio per la mia colazione alle 4.00 e parto per Hilpolstein, in compagnia di una ragazza tedesca che si offre, con il padre, di accompagnarmi, così lasciando libera la Miki di prepararsi con i pargoli per arrivare in tempo e vedermi uscire dall’acqua.

Le 4.00, il buio. Questo è ciò che, sopra ogni cosa, mi ricorda e mi ricorderà sempre l’iron. Il silenzio in auto per arrivare alla partenza. I fari delle auto in una strada altrimenti vuota a quell’ora. Il silenzio per percorrere le poche centinaia di metri che portano dal park alla partenza, rotti solo da qualche chiacchiericcio degli atleti e dal ghiaino sotto le scarpe. Gli ultimi controlli alla bici, il riempimento delle borracce con l’alba che si alza ed una musica dolce di sottofondo che aiuta il tuo streching anche troppo in anticipo. I rumori che da sottofondo diventano dominanti con il passare dei minuti che ti avvicinano alla partenza. La muta, la vaselina, la cuffia, gli occhialini, la borsa degli indumenti che consegni al camion. Si avvicina la partenza. I pro (tra cui il mostro) partono alle 6.35, poi, di 5 minuti in 5 minuti tutti gli age group, io sono previsto in acqua per le 7.35. Ho il tempo di vedere uscire dall’acqua Frodeno (45’…) e di farmi una foto con due giapponesi (o coreani? Boh…) che faccio spedire dalla moglie di uno dei due alla Miki. 7.00 – 7.05….7.30 e infine…tocca a me. Mi calo in acqua assieme agli altri 199 del mio time group e mi rendo conto solo in quel momento delle migliaia di persone stipate sugli argini del canale. Penso: ci siamo e, subito è….VIAAAAAA!!!!!!

Partito. L’acqua è fredda ma nemmeno troppo e il canale (si tratta del Danau – Main un canale navigabile artificiale ricavato da un braccio del Danubio) è una tavola perché le chiuse vengono abbassate il giorno della gara proprio per evitare l’ingresso d’acqua e le conseguenti correnti. Mi sento bene e mi metto a velocità di crociera senza nemmeno il bisogno di alzare la testa più di tanto, essendosi sgranati subito i nuotatori ed avendo come riferimento la riva per la direzione. Non provo a tirare se non negli ultimi 100 – 200 metri in cui sento di averne abbondantemente e mi concedo un piccolo sprint. Esco dall’acqua e mi trovo Elia davanti (era quasi in acqua ad aspettarmi) al quale mi fermo a dare un bacio. Proseguo in zona cambio, individuo la borsa, aiutato da un volontario e mi dirigo in tenda a cambiarmi. Me la prendo volontariamente mooooolto calma (non volevo in realtà metterci i 10 minuti abbondanti che impiego…) mi asciugo e vado a prendere la bici.

Parto e sento subito che le gambe girano bene, ma continuo a sentire in testa il ronzio di Robi (Chiozzotto, grande amico, eccezionale sportivo e straordinario preparatore) e di Ale (Orlandini, il delicatino, mio ironfradeo) che mi urlano di andare piano in bici per non cuocermi le gambe. Vado quindi forte ma non troppo e, tra tavoloni di birra, famiglie con manine, campanacci e varie vengo accompagnato in men che non si dica al 65 km. Butto l’occhio al garmin e dico…mah mi sembra di essere partito ora….meglio così. Arriva in quel momento il Kalvarienberg, una delle due salite che, sebbene non impossibile, ti dà il primo colpetto alle gambe. A metà vedo le moto che mi sorpassano e capisco…sta arrivando il mostro. Mi passa a mezzo metro in salita come un Hovercraft, senza rumore anche se non velocissimo per la verità (la salita, secondo me, la faceva più veloce prof. Bike Marco Da Lio) e, a dimostrazione della mia euforia e dello stato in cui ero, appena passato gli urlo “vai Jan spacca tutto, la Martina ti saluta” (inteso come Martina Rosada, nostra signora di Pellestrina, che ha vecchia conoscenza con Frodo). Passato, mi dico, ora pensa alla tua gara. Arrivo alla sommità del Kalvarienberg  e, dopo un paio di saliscendi, al 70esimo km comincio a pensare che la foto con il corridore in mezzo alla gente sia in realtà un fotomontaggio e non esista il Solarberg, così come lo dipingono. Comincio a convincermene quando inizia una piccola salita con parecchia gente a destra e sinistra e penso…eccolo qua. Bè? Tutto qui? Si bello….ma la foto. Vabbè sarà al passaggio del primo e per gli altri, ciccia. Proseguo per altri 20 metri, giro l’angolo. Lì che mi aspetta c’è IL MURO. Faccio fatica a buttare giù il groppo (che ho ancora adesso che sto scrivendo) e mi guardo in giro nemmeno fossi Indurain al Tour de France. Tento di fissare quei momenti, vorrei non andare avanti e fermarmi lì, per gustarmi ancora il momento. Ma c’è un momento per tutto…mi sveglio e vado. Scavallo il Solarberg buttando ancora un occhio indietro e restando ancora di sasso. Fino a che, in un momento, torno a Hilpolstein per la fine del primo giro dove trovo la Miki ed i ragazzi che mi urlano. Mi carico ancora (come se ce ne fosse bisogno) e riparto. Il secondo giro vede ancora moltissima gente per le strade che, tuttavia, un po’ alla volta scema per spostarsi sul circuito run dove Frodo sta attaccando il record del mondo. Il secondo giro, in un percorso nervoso come quello di Roth, deve essere gestito, specialmente da un passista e pessimo scalatore come me, in modo da averne un po’ per la maratona. Abbasso di oltre 1 km/h la mia media complessiva e arrivo al T2 discretamente in forze. “Come i veri” al T2 si lascia la bici ad un volontario che si occupa di metterla nel rack. Ti raggiunge una gentile volontaria che ti porta alla borsa, che ti raccoglie, e ti accompagna alla tenda di cambio. ALT so che cosa insinuate. Specialmente il signore degli Anelli. Lo fanno con tutti e non solo con me perché mi hanno visto vecchio e male in arnese. Insomma, ti portano in tenda ti tirano fuori la roba dalla borsa, le scarpe, che ti aiutano a calzare e ti chiedono addirittura se vuoi spalmata la crema solare. Come al Cavain…

E per i matti Garmin eccovi l’altimetria integrale del percorso di Roth 1.480M D+
Garmin Connect Challenge Roth 2016

Roth2016

Parto, come dice il Presidente, dopo un brindisi, per la maratona finale. Le gambe girano ed il primo mezzo km, senza guardare, mi viene a 4.45. Mi impongo di calmarmi subito e mi stabilizzo sui 5.15.-5.20 al km. Dopo un passaggio al centro di Roth, il percorso si dirige verso Hilpolstein e si snoda sul lungo canale della frazione swim. Fa molto caldo e intorno al 7 km sento che una vescica mi tormenta il piede sinistro. Mi fermo e con calma mi ungo con la vaselina che prudenzialmente (grazie Ale!) mi ero portato appresso. Riprendo e tutto passa. Arrivo tranquillo al 13 km dove una rampa in discesa (circa 200 m) ci allontana dal lungo canale che poi, ritornando, reimboccheremo. Discesa della rampa e successiva salita mi tagliano un po’ le gambe ma continuo ed arrivo alla mezza discretamente in forze. Mi stabilizzo sui 5.35 – 5.40 al km e mi impongo, come da piano gara, di non fermarmi prima di ciascun ristoro, cove indugio una trentina di secondi (anche di più). Dopo la mezza aggredisco ad ogni ristoro di due km successivi e. tra un bosco, un villaggio e un lungo canale, si avvicina il traguardo. Non ho mai pensato di non farcela. Nemmeno un istante. Un magone, simile a quello del Solarberg mi assale al 41esimo km al passaggio all’ennesimo villaggio, quando tutto, oramai, è finito e rallenti per goderti gli ultimi 5 minuti di gara. Mi prende un crampo all’estensore della gamba sinistra e, qualche secondo (oramai nulla conta più) mi fermo a strecharmi, quando una signora mi dice se ce la faccio ed alla quale rispondo “I am too close to the finish line, everything could happen, I reach it even worming” (non so se worming, inteso come andatura del verme, strisciando, fosse corretto, ma spero mi si perdoni la licenza dopo 11 ore di gara…). Il km che manca diventa metà mentre entro a Roth, e ancor meno quando imbocco il corridoio finale dove Elia e Rocco saltano dentro e mi accompagnano al traguardo. Arrivato. La mia gara.

I RACED THE LEGEND.

Il tempo, discreto per un esordio ma, davvero, non importa, o importa poco.

Il ricordo, quello sì, importa.

Ed ora i ringraziamenti che, una volta tanto, devo veramente, perché un Iron non lo fai mai da solo.

La prima: Miki che mi ha sopportato (e dovrà sopportarmi anche il prossimo anno, visto che mi sono reiscritto…) e, non so come, supportato (oltre ai ragazzi che sento di avere, in questo anno, un po’ trascurato)

Il secondo: Robi senza la professionalità del quale la mia esperienza non sarebbe stata quella che è stata, ovvero un iron in cui ho tagliato il traguardo con il sorriso.

Il terzo: Andrea, mio allenatore di nuoto che mi ha insegnato a stare, migliorare ed allenarmi in acqua e mi ha aiutato come se l’iron fosse il suo.

Il quarto: Ale che, sebbene delicatino, rimane il mio Ironfradeo, con una definizione che tanto gli piace.

Il quinto: la squadra, tutti voi, che mi siete stati vicino, mi avete spinto chi dandomi consigli (prof bike in primis), chi spronandomi, chi consigliandomi la gara (grazie Alessia), chi semplicemente incitandomi o, anche, prendendomi in giro (si Marescià…).

Ed infine, come mi ha scritto un triamico nel dopo gara, che si leggerĂ  e si riconoscerĂ , se deciderete di fare questa fantastica esperienza, ricordate:

“Gli uomini pseudo persone normali:
1)      Non faranno mai nella vita 3.8 km di nuoto
2)      Non faranno mai nella vita 180 km di bici
3)      Non faranno mai nella vita una maratona

Tu che hai fatto un IM hai fatto oggi quello che la maggior parte delle persone non farĂ  mai nella vita.
Ti diranno…”chi te lo ha fatto fare”
La risposta la sai tu, che hai percorso quegli ultimi 195 metri”

Vi voglio bene
Federico

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